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Archeologia industriale

La Valle delle Ferriere ad Amalfi
La Valle delle Ferriere, a N dell'abitato di Amalfi, rappresenta un punto di eccellenza sotto il profilo sia naturalistico che archeologico: percorrere la valle del Chiarito, il torrente che sfocia ad Amalfi, seguendo dal sentiero che ha inizio nella piazzetta di Pontone significa infatti attraversare epoche diverse ed ambienti incontaminati.
Il sentiero scende nella valle lasciando alle quote superiori i boschi di castagno fino a giungere alla riserva naturale protetta, dove un microclima caldo-umido consente la crescita di due felci pantropicali: la Pteris Cretica e la Woodwardia Radicans (per accedere alla riserva occorre essere accompagnati dal personale del Corpo Forestale).
La discesa continua costeggiando boschi e laghetti fino a raggiungere le costruzioni protoindustriali che, situate lungo il torrente, sfruttavano l'acqua come fonte energetica. Questi edifici, soprattutto cartiere, sono sostanzialmente identici e rispondono ad una particolare tipologia architettonica finalizzata allo sfruttamento della forza motrice. Sono di forma allungata a più piani, longitudinali rispetto al corso del torrente o a ponte su di esso: anche in questo caso lo spessore delle strutture murarie, costituite da pietre di calcare e malta ricoperte da intonaco, è molto contenuto.
L'acqua del torrente veniva condotta attraverso un canale situato sul retro dell'edificio fino alle macchine e alle vasche, sempre controllata da chiuse che permettevano di regolarne la quantità e la forza: in alcuni casi, delle torri coniche permettevano di raccogliere l'acqua al fine di ottenere un flusso costante. Gli ambienti interni erano caratterizzati da volte la cui tipologia varia a seconda del periodo storico: a crociera per il XIII secolo (essendo le più vicine all'abitato, le cartiere risalenti a questo periodo sono scomparse sotto gli edifici moderni), a vela per gli edifici rinascimentali, a botte per quelli del Settecento e dell'Ottocento. Solitamente, edifici adibiti a spanditoi erano costruiti vicino alle cartiere.
Gli edifici che è possibile vedere non sempre sono visitabili: benché in attività fino alla metà del Novecento, versano infatti in condizioni statiche non sempre buone.
La prima cartiera che si incontra è quella di proprietà Milano, a tre piani, con all'interno ancora le macchine per la produzione. Seguono più in basso i ruderi di due cartiere, quella Nolli e quella Treglia, entrambe in pessimo stato. La più imponente è quella Lucibelli, a sei piani, dove il proprietario abitava e che, essendo a ponte, presentava una capriata lignea ormai distrutta.
Proseguendo la discesa verso il centro di Amalfi si incontrano altre cartiere: quella Marino, a ponte, con quatto piani fuori terra; quella Amatruda (già sulla rotabile del centro storico di Amalfi) ancora in funzione e che è possibile visitare; quella Gonfalone, in buono stato di conservazione; all'altezza dell'Arco della Faenza quella Dipino con annesso spanditoio, in discreto stato di conservazione; quella Milano che ospita il Museo della Carta, originariamente tutta fuori terra ed ora sottoposta per un piano alla strada, con vasche, canali e spanditoio.
Nella valle erano presenti anche una saponiera che dovette essere abbattuta nel 1980 in seguito ai danni provocati dal sisma, una ferriera inaugurata al tempo dei Borbone e rimasta in attività fino al 1800, un confettificio, una calcara, una polveriera e una centrale idroelettrica, tutte strutture attualmente allo stato di ruderi.

Le faenzere di Vietri sul Mare
Non c'è chiesa nella Costa d'Amalfi che non abbia un pavimento di riggiole vietresi, ossia di maioliche uscite dalle antiche faenzere sviluppatesi soprattutto a Vietri sul Mare.
Il termine "faenzera" indicava il laboratorio dove si lavorava l'argilla e deriva dal nome della città di Faenza, indicata come luogo di origine della ceramica. Vietri vanta una lunga tradizione nella lavorazione degli oggetti ceramici e dei pavimenti maiolicati, tradizione che risale con sicurezza documentaria al XVI secolo anche se già alla fine del Quattrocento a Vietri si creavano oggetti di uso quotidiano.
Nel XVI secolo si producevano soprattutto "lancelle", panciuti contenitori per la raccolta ed il trasporto dell'acqua dalle sorgenti fino alle case che potevano essere portati dalle donne sulla testa: di questi oggetti, come di scodelle e vasetti, esisteva un mercato locale che interessava tutta la costa e non solo, come si vedrà per il periodo successivo. Il XVII secolo rappresentò una fase di forte crescita delle faenzere vietresi, soprattutto in seguito all'arrivo di artigiani abruzzesi ed irpini che introdussero nuove tipologie di contenitori e nuovi motivi decorativi. In questo periodo la ceramica iniziò ad essere esportata in Calabria e Sicilia: il commercio avveniva via mare, con navi che riportavano sulla Costa materie prime e prodotti alimentari. A cominciare dal Settecento si è sviluppata in misura sempre più consistente la produzione di mattonelle maiolicate destinate alle edicole votive, il cui esemplare più antico risale tuttavia al 1627.
Nel XIX secolo aumenta la gamma dei colori e dei soggetti: all'azzurro e al blu vengono affiancati il manganese, il verde rame, il giallo, l'arancio e la Costa, con il pittoresco contrasto tra il verde dei monti ed il blu del mare, viene spesso rappresentata. Nell'Ottocento vengono censite nella sola Vietri quindici faenzere alle quali si aggiungevano quelle aperte da Vietresi in altri centri della Costa, ad esempio a Minori.
Dopo una fase altalenante che durò fino alla conclusione del primo conflitto mondiale la produzione ceramica venne riscoperta ed apprezzata a livello internazionale, al punto che si può parlare di un "periodo tedesco". A Vietri giunsero infatti artisti dapprima olandesi e poi tedeschi, che gravitando intorno al laboratorio "Manifattura Artistica Ceramica Salernitana" riuscirono a mediare la tradizione locale introducendovi acquisizioni internazionali che segnarono l'affermazione dei soggetti folkloristici italiani: queste ceramiche venivano esportate ovunque, dall'Europa all'America.
In questo periodo ed in questo clima culturale operò Riccardo Dölker, che decorando la ceramica prodotta da D'Amico introdusse il rosa ed il rosso chiaro e, come motivi decorativi, l'asinello e le donne con la "lancella" sulla testa. A Vietri operò anche Irina Kowaliska, che riprese in stile naďf temi già presenti nella tradizione locale. Tra i decoratori locali formatisi al seguito del Dölker ci fu Giovannino Carrano, massimo rappresentante della forza culturale locale.
Prima che nel 1963 fosse introdotta la serigrafia per la decorazione delle riggiole, il procedimento per produrle era lungo ed elaborato. Così lo descrive Adriana Compagnone nel suo studio sulla ceramica vietrese: «si stampava prima la riggiola nella sagoma di legno, poi si lasciava rassodare [...], quindi si rifilava appoggiandovi sopra un quadro di ferro della misura voluta più qualche centimetro in più per il ritiro in cottura [...]. Il taglio avveniva con un coltello a mezzaluna. Successivamente sopra un piano di marmo si metteva la riggiola con la faccia da smaltare contro il marmo e la si pressava con un blocco di legno pesante, [...], battendo varie volte sulla riggiola e badando che cadesse sempre ben orizzontale, per non rendere la riggiola più sottile in una sola parte. Essiccata all'aria, veniva infornata per la cottura e subito dopo subiva la squadratura definitiva». Da ultimo si procedeva alla decorazione, anche a più mani, e la infornava di nuovo.
Dal punto di vista architettonico le faenzere erano costituite da piccoli vani con diverse funzioni: generalmente in uno c'era la fornace, nell'altro la "colonna" dove si creavano i colori e si lavorava l'argilla. Erano luoghi umidi, solitamente vicini ad una sorgente, che per l'essiccazione al sole del prodotto lavorato sfruttavano i solai esposti.
Delle più antiche faenzere non è rimasta alcuna sopravvivenza, mentre di quelle del XIX secolo è possibile almeno individuare il luogo dove sorgevano. La studiosa M. Antonietta Iannelli ha proceduto al posizionamento dei resti dei laboratori ottocenteschi sul territorio vietrese.
1. Avallone: questa ceramica occupa il sito di una delle più antiche faenzere vietresi, quella Cassetta del '500. Nell'Ottocento l'immobile era diviso in due laboratori che appartenevano a Tajani e Cassetta: uno costituito da tre bassi e due stanze, l'altro da un basso e due stanze. Tuttavia, nel catasto del 1880 risultano sette bassi, cinque stanze ed un ammezzato. Passata attraverso varie cessioni, nel 1919 diviene proprietà di Francesco Avallone.
2. Cassetta: questa famiglia possedeva anche un'altra faenzera. Di questo stabilimento, la cui produzione era valutata in 2000 pezzi annui, si perdono le tracce nel 1880.
3. Pinto: nel catasto del 1834 risulta composta da due bassi e colatoie, anche se nell'atto di vendita del laboratorio ad Antonio Salese (1838) si parla di quattro bassi con "fornace, fornaciello e colatoio". Salese aumentò la consistenza dell'immobile con la costruzione di vasche esterne per la lavorazione dell'argilla, ampliamento da cui scaturì un contenzioso giuridico con un vicino.
4. Pizzicara/Pinto: nel 1880 risulta composta da cinque bassi e un terraneo che occupavano il luogo di una vecchia fabbrica condotta dai fratelli Sperandeo. In questa faenzera venivano prodotte soprattutto maioliche.
5. Punzi/Cioffi: in origine l'edificio, con ingresso sulla piazza, era adibito ad abitazioni formate da bassi, stanze e giardino. Solo dopo il 1837 divenne faenzera, con una produzione annua di 10950 pezzi. In un atto di vendita del 1885 vengono citati otto bassi con fornace e fornacetti ed un primo piano con due vani, che furono ingranditi dopo la vendita del 1919 alla famiglia Cioffi.
6. Punzi/D'Agostino: dal catasto del 1880 sappiamo che questa fabbrica sorgeva dove ora si trova la ceramica "Carrera", e che era composta da sette vani terranei. Tuttavia, già nel 1832 i Punzi possedevano una faenzera dotata di sei colonne di fabbrica, del "fornaciello" per il piombo, di fornace e nove colatoi. Forse qui per la prima volta fu utilizzato un forno a muffola.
7. Consiglio: nel 1870 la produzione di questa fabbrica, passata dalla famiglia Consiglio a quella Martelli, ammontava a 4000 dozzine di "Faenza fine", 4000 dozzine di "Faenza ordinaria" e 1500 capi. Nel 1870 era composta da otto vani terranei e sette vani al primo piano.
8. De Simone/Tajani: composta originariamente da cinque bassi, nel 1848 produceva 100000 pezzi all'anno. Nel 1880 risulta formata da tre sotterranei, quattordici vani a piano terra, un ammezzato, dieci vani al primo piano, due al secondo e tre al terzo. Da qui è uscito il pavimento della Chiesa di S. Antonio a Vietri.
9. Genovese: composta da sei vani terranei, questa faenzera ha prodotto tra le altre cose il pannello votivo presente ancora nel panificio Autuori e datato 1866.
10. Cassetta/Bottiglieri: questa fabbrica, appartenuta al barone Carmine Cassetta, era composta da tre bassi e tre vani e produceva circa 100000 pezzi ogni anno. Nel catasto del 1880 risulta formata da un vano seminterrato, quattro vani al primo piano, tre al secondo piano e un ammezzato.
11. Cassetta/Pisapia: la vita produttiva di questa fanzera fu molto travagliata. Agli inizi dell'Ottocento era composta da quattro bassi e da una stanza e produceva circa 80000 pezzi all'anno; nel 1880 la troviamo composta di tre sotterranei, due terranei, dodici vani al primo piano, sette al secondo, uno al terzo, due ammezzati e tre soffitte, anche se nel 1896 viene divisa in due laboratori. Qui la famiglia Solimene ha iniziato negli anni Quaranta la fortunata produzione di ceramiche.
12. Savastano/Vuolo: questo laboratorio ebbe vita breve. Nel 1887 iniziò la produzione di stoviglie, ma già nel 1899 i locali furono destinati ad altre attività.
13. Savastano/Della Monica: in località Petraia si trovava questa fabbrica composta di un vano seminterrato, due al piano terra, due al primo piano e cinque al terzo. Negli anni Venti fu qui installata la Manifattura Artistica Ceramiche Salernitane.
14. De Cesare/D'Amico: nel catasto del 1834 la fabbrica risulta intestata ancora a un De Cesare, ma nel 1874 fu acquistata da Antonio D'Amico. Nel 1888 occupava circa sedici operai. In una parte della vecchia faenzera si trova ora l'albergo Aurora.

Bibliografia
M. A. Iannelli, Una faenzera nelle terme vietresi, Salerno, 1999.
 
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