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In Costa d'Amalfi, c'è un canto per ogni occasione. Dalle processioni dei battenti fino alla raccolta dei limoni si cantava per pregare, per accompagnare il lavoro, nei campi o sulle barche, per ringraziare o per implorare, per diletto, per corteggiare o per beffare, per narrare o per cullare, per propiziare la pesca, per invocare il ritorno, per consumare il dolore di un lutto. Al canto, si aggiungono musica e danza. L'inebriante tammurriata con l'irrefrenabile esplosione di energia e violenta fisicità, la più ricercata tarantella, la frenetica pizzica che sembra ispirata da un'imperiosa e irresistibile forza interiore: nella dimensione collettiva le danze interpretano, imitano, negano, esasperano la realtà quotidiana, per esorcizzarla o celebrarla. Su tutto, la musica e il ritmo ripetuto all'infinito di chitarre battenti, putipù, triccheballacche, castagnette e tamorre: strumenti antichi, creati dall'arte dei liutai o dall'invenzione popolare, di lontana ascendenza araba o costruiti con l'ingegnoso utilizzo di pelli, scatole di latta, vecchie pentole di terracotta. Sono melodie, suoni, parole, gesti che interpretano e comunicano il vivere quotidiano con i suoi riti, momenti e significati: sono rappresentazioni di se stessi e del proprio mondo, espressioni delle speranze, delle paure, delle gioie e dei dolori, del divertimento e della fatica di ogni giorno che la tradizione popolana ha voluto e saputo sublimare, a modo proprio.