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La Costiera dei viaggiatori: immagini e percezioni, tra simboli e miti

Giungendo in Costiera amalfitana, i visitatori portano con sè un bagaglio che gli è stato riempito lentamente: non arrivano con animo neutrale, ma pieni di aspettative in buona parte alimentate dai loro predecessori.
Mentre in passato le immagini di questa costa fortunata venivano diffuse solo dai racconti di grandi scrittori (quale Boccaccio nel suo Decameron) e dai numerosi dipinti che raffigurano i paesaggi incontaminati di un tempo e che è possibile ammirare in molti musei europei, oggi vengono veicolate anche dai media, dai giornali, dalle cartoline, dai dèpliant, dalle riviste, dai film, dai documentari, da tutti i potenti strumenti della comunicazione globale. Tutto ciò non può non influenzare i visitatori, che arrivano in Costiera per trovare conferma alle proprie aspettative: se anche si tratta del primo viaggio in Costiera, essi si attendono un ambiente già conosciuto, quasi familiare.
Non era così all'epoca del Grand Tour, quando i rampolli delle migliori famiglie europee si avviavano verso l'ignoto, alla scoperta del nuovo, all'incontro con l'antichità e la natura. A dire il vero, nemmeno il "bagaglio" di questi primi viaggiatori era del tutto vuoto: certe immagini e certi valori più o meno simbolici erano già mediate dai prodotti della creazione artistica che l'élite ben conosceva, da opere letterarie e politico-filosofiche e, d'altra parte, i modelli culturali e il contesto religioso, sociale e politico influivano già allora sulle percezioni, sugli atteggiamenti, sulle interpretazioni della realtà vissuta e osservata. Ma il paradigma non era ancora codificato, l'immagine non era ancora stereotipo: i canoni della percezione e della connotazione erano ancora in una fase embrionale, magmatica, che non negava all'esperienza del viaggio la possibilità di arricchirne il processo creativo.
I primi interessi archeologici, antiquari e naturalistici sarebbero stati ulteriormente arricchiti dalla nuova estetica nata sul finire del Settecento, quando il Sud non avrebbe più rappresentato un mero luogo geografico finendo per simboleggiare un nuovo modo di vivere e guardare, alla ricerca di un profondo e rinnovato modo di essere
La lettura dei luoghi e dei significati della Costiera amalfitana condotta attraverso le testimonianze dei viaggiatori stranieri ha due principali obiettivi: quello di conoscere i luoghi del passato e quello di rintracciare i modi e i filtri attraverso i quali ancora oggi si percepiscono quelli del presente.
Nei tempi più remoti la Costiera amalfitana non rientrava nemmeno nelle località menzionate dalle guide di viaggio: iniziò ad attirare l'attenzione solo con la scoperta dei templi di Paestum e a seguito della scoperta del Sud. Il viaggio nel Sud veniva però visto come un viaggio nella classicità, e anche la Costiera amalfitana rientrava in queste aspettative.
Durante il Settecento, oltre all'interesse per l'antichità romana, si affaccia timidamente quello per la grecità. Tuttavia, poiché un viaggio in Grecia era ancora impresa un po' utopistica, l'Italia del Sud finì per sostituire la Grecia stessa. I viaggiatori provenienti dal Nord ammirarono le prime testimonianze greche a Paestum e, con gli stessi occhi carichi di classicismo, videro la Costiera amalfitana.
È però la non classicità di Amalfi, della sua posizione racchiusa tra i monti, della sua "strana" architettura, della sua natura "selvatica" che viene avvertita e non sempre accettata. Non rientrando nei canoni classici, Amalfi non poteva essere il luogo ameno, il paesaggio ideale, il posto "bello": anzi, la città disturbava le abitudini visive dei primi visitatori e solo lentamente, con il progredire dell'angolazione storica, il loro essere restii lasciò il passo all'ammirazione. Fu solo nell'Ottocento che il carattere esotico, moresco della città iniziò ad essere considerato uno specificum. Fu il grande storico Ferdinand Gregorovius a descrivere un'immagine della Costiera nella quale confluiscono Greci e Longobardi, Saraceni e Normanni. In questo modo il cammino lungo la Costa andava ad inglobare una veduta panoramico-storica nella quale confluivano il presente e il passato, la bellezza della natura e le crudeltà che qui erano state commesse, il sapere e il desiderare.
Con il passare del tempo si affermò un nuovo atteggiamento che portò qui Winckelmann e Swinburne, fino ad arrivare al sommo Goethe. Tale atteggiamento si affermerà poi meglio con il Romanticismo grazie a personalità quali Gissing, Lear, Strutt, Leonormant e Gregorovius spingendosi fino a Douglas, e determinerà una nuova connotazione del viaggio all'interno del quale il principale motivo di attrazione diventerà la natura. Era a contatto con il paesaggio ricco e variegato di questi luoghi suggestivi e intrisi di colori e luci che il viaggiatore si trovava a cavalcare il sentimento di un'empatia con la natura, viatico per quel ritrovamento dell'Io che sarà sentiero battuto e ricercato da tanta cultura romantica.
L'arrivo di molte persone in Costiera è stato sicuramente anche merito dei pittori, che hanno diffuso il fascino e la magia di questa incantevole terra. Essi cercavano di cogliere tutte le bellezze e le tipicità del paesaggio placido e al tempo stesso vivace. Il mare era acceso di lampare, gli anziani erano appoggiati alle ringhiere, gli uomini parlavano seduti ai caffé, le terrazze degli alberghi si illuminavano, si sentiva il rumore dell'acqua: queste sono le immagini che hanno incantato i visitatori di un tempo.
La Costiera amalfitana venne quindi scoperta nel XVIII secolo, quando iniziarono a cambiare i canoni estetici: la perfezione non era più rappresentata dal paesaggio ideale, bensì da quello selvaggio, nativo. Ciò che colpiva ora erano gli scogli a picco, il mare, le cascate, le valli isolate, lo scenario delle montagne, le torri diroccate lungo la costa e la Costiera offriva tutto questo. Anche la scoperta del popolo rientrava in questa prospettiva. Il popolo appariva nella sua spontaneità e "naturalità", puro e non contaminato dagli effetti della civiltà. Grazie ai dipinti di questi giovani artisti l'interesse si rivolgeva anche alla cultura popolare, alle canzoni, ai racconti e ai giochi popolari.
Mentre sul finire del Settecento era ancora diffusa l'idea di un Sud favoloso, sprigionatore di illusioni e vocazioni, l'Ottocento portò una ventata romantica che aprì ad un nuovo modo di guardare la natura, le cose, i luoghi. Nei paesaggi si abbandonava lo stile classico-ideale del Settecento e si abbracciavano le vedute "naturali-romantiche". Si rivalutavano finalmente i paesaggi solitari e selvatici, le rovine, il fascino della notte, lo splendore della luce pura. Erano il mare, i litorali, le grotte, gli scogli, gli anfratti, gli elementi di un paesaggio vuoto e solitario ad incantare lo sguardo. L'inizio della fortuna della Costiera amalfitana si deve soprattutto al mutamento dei canoni del paesaggio ideale-pittorico. Esempi di ciò che ci si aspettava arrivando in Costiera si possono riscontrare nei numerosi disegni a seppia di Karl Blechen, nelle vedute di Amalfi, nei conventi, nella Valle dei Mulini, nei tratti di Atrani, Minuta, Scala, S. Eustachio, Maiori, nei particolari delle volte estradossate, negli archi intrecciati nei balconi ad arco.
I canoni romantici si protraggono fino ai primi decenni del XIX secolo e proprio tale disposizione dell'animo contribuisce ad incrementare per l'intero secolo il mito della Costiera amalfitana, fino ad includerla tra le pagine di un'industria culturale che trasforma la sua immagine in un topos.
Fu quindi solo con l'inizio dell'Ottocento che la Costiera divenne "bella", un luogo che meritava di essere visitato. Proprio per questo, nonostante fosse ancora difficilmente raggiungibile visto che ancora non era stata costruita la statale 163, divenne meta prediletta di pittori paesaggisti, architetti, scrittori ed altri viaggiatori entusiasti provenienti dall'intera Europa.
Nel paesaggio selvaggio si rifletteva lo stato d'animo del nuovo individuo dell'epoca borghese. Nella natura egli andava alla ricerca di se stesso scoprendo la propria solitudine e assaporando, attraverso l'incontro con le testimonianze di una grande civiltà ormai scomparsa, lo struggimento romantico. Amalfi e la sua Costiera diventano così un romantico locus amoenus, un capoluogo della passione ottocentesca per l'Italia del sud.
Le prime descrizioni letterarie sono basilari per individuare la genesi dell'impressione prodotta dai luoghi della costa sui primi viaggiatori e altrettanto importanti sono le prime rappresentazioni visive, che vengono codificate in una serie di vedute fisse quasi esclusivamente dedicate ad Amalfi e Paestum. La Costa d'Amalfi prendeva quindi forma, nell'immaginario europeo, nell'età romantica, quando il lontano e l'esotico venivano trasfusi nei dipinti dei più importanti pittori dell'epoca e nelle cronache dei viaggiatori stimolati a raggiungere questo lembo di costa aspra, alla ricerca delle rovine di un passato grandioso e di una natura selvaggia.
Nella seconda metà dell'Ottocento si affermò un nuovo modello di percezione: il culto per l'orientalismo, l'esaltazione del mondo moresco, del suo esotismo e della sua sensualità pagana e tutto ciò orientava gli interessi dei viaggiatori. Proprio per questo ora era soprattutto Ravello che li affascinava con le sue rovine architettoniche arabo-normanne. I visitatori si aspettavano di vedervi resti moreschi e arabeggianti e gli abitanti del posto impararono velocemente a soddisfare le loro richieste e aspettative: infatti, consigliavano la visita al "Moorish Castle" che non era altro che la medievale Villa Rufolo!
La Costiera era diventata nota ad un circolo di persone più ampio, anche se ancora limitato. Alle varie incisioni, dipinti e racconti di viaggio ora si aggiungevano cartoline e album. I testi scritti in questo periodo erano scritti dai visitatori. Tutto ciò avvalorava il nuovo mito di locus amoenus, luogo che quasi nessuno conosceva ma che tutti credevano di conoscere. L'estraneità della Costiera amalfitana cedeva il passo alla pseudo-familiarità di un evento turistico quasi obbligatorio.
Alla creazione dell'immagine della Costiera come locus amoenus ha contribuito in gran parte la Valle dei Mulini, che è divenuta uno degli elementi basilari del paesaggio amalfitano sospeso tra mito e realtà. Oggi, recandosi nella Valle dei Mulini, non ci si trova più dinanzi ai paesaggi che si presentavano allo sguardo dei primi visitatori, perché i mutamenti intervenuti con il tempo lasciano solo intravedere le tracce di quella particolare commistione tra vitalità operosa e natura suggestiva, che per il visitatore straniero costituiva la caratteristica identità della valle. Questo era un luogo molto importante per l'economia amalfitana perché qui si concentravano le attività delle antiche cartiere e dei mulini, alle quali nel Cinquecento si aggiunse anche una fabbrica per la lavorazione del ferro. Questi impianti utilizzavano l'energia fornita dai numerosi corsi d'acqua, elemento caratterizzante dell'intera valle.
Questo luogo veniva visto dai visitatori come una serie di incantevoli scorci che racchiudevano una pittoresca simbiosi di vari elementi: la valle, con i suoi giochi di luci ed ombre, le chiare acque e le limpide sorgenti, gli abitanti. Alcuni viaggiatori accostavano tali immagini ai paesaggi svizzeri. Purtroppo tali scorci pittorici sono scomparsi con il declino delle cartiere. Di tali paesaggi sono rimaste solo la vegetazione rigogliosa e i ruderi che testimoniano le antiche attività. È solo nella parte interna, che è divenuta riserva naturale, che è ancora possibile rivivere il fascino antico di luogo incantato, grazie ai giochi di luce e alle limpide cascate.
Era la natura come specchio di una cultura del sentimento il filo conduttore che guidava i numerosi artisti che arrivavano sulla Costa d'Amalfi. Tali presenze materializzavano l'immagine del viaggio e allo stesso tempo andavano ad incrementare l'interesse per la natura che ormai non era considerata più ideale bensì naturale, reale. Unitamente al cambiamento dello spirito originale del viaggio, si era quindi modificato anche il rapporto uomo-natura, che introduceva un dialogo di carattere non più imitativo bensì interpretativo del dato fenomenico.
Pur attraverso il riflesso del "già visto" la fortuna della Costa continuò fino agli inizi del XX secolo, quando il viaggio si trasformerà in una nuova avventura moderna e si rimodellerà il dialogo con questi luoghi in base ad una nuova percezione estetica.
Oltre a queste immagini di un Sud accentratore di sensualità e seduzione, romantico ed orientale, si stava affermando anche quello di un sud cosmopolita legato per lo più ad una determinata località della Costiera: Positano. Si venne qui a creare una colonia di stranieri che doveva la propria esistenza ed ispirazione al mito di un sud libertario, libero da qualsiasi restrizione del mondo civilizzato, mito che si fondava su un certo nietzscheanesimo e che si può tuttora riscontrare nell'immagine di Positano. La presenza di personaggi celebri e la fama di una lussuosa vita cosmopolita costituiscono il mito turistico, tuttora non usurato, al quale Positano deve il proprio successo.
Personalità quali quella di Maurits Cornelis Escher, Antonio Mancini, Edward Okun, Luigi Crisconio, Andrè Gide, Paul Valere ed Edward M. Forster rappresentavano l'essenza del moderno viaggiatore proiettato verso l'incontro con qualcosa di già pienamente atteso.
Il viaggio come avventura stimolatrice di altri viaggi porterà nel corso del Novecento una miriade di altri nomi sulla costa d'Amalfi. Da Carrà a Depero, a Martinetti, ad Harloff, a Zagoruiko, a Stravinskij, ad Andrei, a Gatto, a Sinisgalli.
Con il passare del tempo mutano i paradigmi estetici e quindi anche le aspettative dei turisti. Infatti, con lo sviluppo successivo al 1945 nacque il mito del turista di massa: la spiaggia. Le motivazioni che spingevano un turista a venire in Costiera diventavano prevalentemente quelle legate alla balneazione, alle coste, alle acque limpide e alle spiagge. Proprio a questo cambiamento deve la propria scoperta un centro quale Maiori, che dispone di spiagge ampie e comode, eccezione in una costa rocciosa quale quella della Costiera. A tale motivazione si è aggiunta, a partire dagli anni Settanta, la ricerca e la conseguente scoperta nell'ambito della Costa di località poste ai margini dei grandi flussi turistici, ove immergersi nella natura e nella tranquillità. A tali richieste rispondevano perfettamente centri quali Praiano, Conca dei Marini, Scala e Furore.
A diffondere ancora più il mito di questa fortunata costa furono, dagli anni Quaranta in poi, anche i numerosi registi e produttori che scelsero diverse località per ambientare i loro film in una cornice paesaggistica assolutamente naturale, autentica e viva. Determinati avvenimenti hanno contribuito a diffondere la conoscenza di questi luoghi incantevoli in tutto il mondo, incentivando il flusso di visitatori. Cosa che per esempio accadde a Ravello, ove nel 1953 fu girato un film (Il tesoro dell'Africa) che coinvolgeva i maggiori nomi del mondo hollywoodiano dell'epoca. Tutto ciò attirò folle di curiosi, giornalisti, fotografi e i giornali non mancarono di pubblicizzare largamente l'evento.
Il consumismo degli ultimi anni, la massificazione del turismo con la conseguente politica del mordi e fuggi in aggiunta alla motorizzazione, alla ricerca di continue forme di divertimento e all'espansione edilizia, hanno portato allo snaturamento dell'immagine storica della Costiera e allo svilimento di quelle suggestioni paesaggistiche ed emotive che sono alla base delle motivazioni turistiche.
Con gli anni Sessanta sono iniziate le grandi code di auto e pullman sull'unica direttrice di traffico, e la Costa non ha retto l'urto della massa. Si mirava sempre più alla quantità piuttosto che alla qualità e ciò ha leso quell'immagine della Costiera gradualmente affermatasi tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo.
Infatti, proprio per far fronte alla domanda sempre crescente, si iniziarono a determinare una serie di spinte capaci di modificare la realtà ambientale della Costiera: la scelta più grave è stata quella di aumentare in maniera indiscriminata la capacità ricettiva del territorio attraverso nuove costruzioni. Si vennero a creare i fenomeni di congestione, traffico e caos tipici di qualunque periferia urbana. Un esempio può essere Maiori, che non ha più nulla degli arsenali antichi o degli orti, ma oggi è una compatta ed uniforme palazzata. Simili alterazioni hanno coinvolto il paesaggio agricolo caratterizzato dai tipici terrazzamenti. Si sono abbandonate intere aree agricole, marginali rispetto alla più vantaggiosa rendita immobiliare, per trasformarle in terreni edificabili. La concentrazione dell'economia costiera nel settore balneare ha comportato la marginalizzazzione di attività ed elementi culturali tipici dei luoghi.
Tutto ciò ha comportato cambiamenti funzionali di presenze tipiche del paesaggio costiero. Si sta trasformando la Costiera in un ambiente che rientri nei paradigmi del turismo di consumo e non si pensa a preservare l'identità storica dei luoghi. Tali atteggiamenti causano il declino della diversità ambientale della Costiera, e l'eccessiva congestione che la costa è costretta a subire nei periodi estivi non manca di mostrare i propri effetti degradanti fin nelle aree più interne. Tutti questi elementi fanno sì che dinanzi ai turisti di oggi si apra un'immagine della Costiera completamente diversa da quella che spingeva i primi visitatori a raggiungere questi luoghi, incontaminati e quasi magici.
Secondo alcuni è il rapporto sbagliato tra cultura e classe dirigente, fra tradizione e modernità che ha dato origine a quell'ibrido per cui oggi un luogo non è quello che era né quello che vorrebbe essere. Ad esempio, un tempo la spiaggia era il posto dei pescatori, ma sul finire degli anni Sesanta è divenuto il posto dei turisti. Vengono costruiti ascensori nella roccia, stabilimenti balneari che possano soddisfare le richieste dei turisti e i pescatori scompaiono. E così, le foto della spiaggia negli album e nelle cartoline cambiano.
Un tempo le cartoline costituivano delle valide fonti documentarie, perché contribuivano alla rilettura storica del passato recente. Oggi invece il panorama-mare-sole del turista "mordi e fuggi" ha preso il sopravvento e le cartoline prendono il posto della realtà rimpiazzandola con la sua visione commerciale, rispetto alla quale raramente ci si accorge di quanto siano improbabili quei mari troppo blu, quei cieli troppo azzurri, quei prati troppo verdi.



Bibliografia
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Schiavo Mario, "Quando la macchina da presa può fare propaganda", in Il Duca, 1-15 marzo 1992
 
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