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Miti e leggende, detti e proverbi

In tutte le parti del mondo proverbi e leggende hanno costituito la prima letteratura di un popolo. In un'epoca antecedente l'uso della scrittura, la narrazione di fatti storici e fantastici veniva fatta oralmente, di solito dagli anziani ai giovani, e in tal modo i racconti acquistavano un significato didascalico ed etico. I proverbi possono ritenersi buone norme di vita perché nati dall'esperienza e dalla saggezza popolare. La leggenda, ovvero "cosa da leggersi", nacque come racconto di fatti edificanti o di vite di Santi non privo, tuttavia, di elementi meravigliosi o fantastici. Successivamente il termine fu esteso ad ogni narrazione di fatti naturali, di avvenimenti o di gesta nei quali, pur non mancando qualche fondamento storico, prevalesse l'elemento fantastico e meraviglioso.
Anche nella nostra zona si narrano leggende e vi sono proverbi caratteristici che costituiscono parte integrante del nostro bagaglio culturale.

Ravello
Ravello si differenzia dagli altri centri perché situata nell'entroterra: è un paese di contadini, non di pescatori. La prima leggenda che segue è conosciuta in tutte le frazioni, con lievi variazioni dall'una all'altra. Da sempre si tramanda questo racconto, che è servito a seminare il terrore in diverse generazioni. L'altra leggenda, quella del Licantropo, nasce dal fatto che le strade che collegano Amalfi a Ravello sono poco illuminate: l'ambiente si presta quindi all'invenzione di simili personaggi.
Il "monaciello"
A Ravello, come in tutti i piccoli paesi, si tramandano delle leggende. Una delle più note ci è stata tramandata dai nostri avi, ed è quella riguardante un monaco.
Si narra che a Ravello risiedesse un monaco che in seguito ai suoi comportamenti ostili verso il popolo fu scacciato dal paese. Di lui non si seppe più niente, solo che era morto in povertà in terre vicine. Dopo poco tempo questi cominciò ad apparire alle persone sotto forma di spirito. Capitava che a coloro che in vita gli avevano fatto del bene, o che comunque si comportavano bene, apparisse ogni giorno alla stessa ora e nello stesso posto, portando monete o cibo e dicendo di non parlare a nessuno dell'incontro, altrimenti si sarebbe vendicato. Si racconta che apparve anche ad una bambina, donandole ogni giorno delle monete e facendole la solita raccomandazione: questa però rivelò il segreto alla madre, che insistente le chiedeva da dove provenissero quei soldi. La notte stessa il monaco apparve alla bambina e tentò di strozzarla, ma questa si salvò. Da allora non lo vide più.
A coloro che invece gli avevano fatto del male, o che continuavano a comportarsi male, il monaco faceva dispetti di ogni genere, mettendo la casa a soqquadro o facendo sparire degli oggetti.
Il licantropo (fonte orale)
Alcuni cantori ravellesi narravano che nelle notti di luna piena si mescolavano ai tenebrosi versi dei guelfi e ai monotoni canti delle civette dei tremendi ululati.
Sulla strada che porta all'allegro paese accadevano infatti, in strane circostanze, degli inconcepibili fatti di insolita natura. Coloro che in queste cupi notti si avventuravano per la buia via, a volte si imbattevano in strane visioni. Tutti quelli che avevano avuto questa esperienza sostenevano di essere stati rincorsi da terribili lupi mannari. Ma non appena svoltavano a destra o a sinistra, questi malefici esseri continuavano imperterriti la loro corsa, come se avessero i paraocchi.
Da allora i popolani impararono che nel caso fossero stati inseguiti dai lupi non avrebbero dovuto far altro che "vincolare" ai lati della strada.

Amalfi
Entrambe le leggende su Amalfi sono ambientate nel periodo delle incursioni saracene, periodo che per Amalfi è sinonimo di dolore e di sconforto. La leggenda di S. Andrea esprime la speranza e la fede con cui Amalfi ha reagito alle invasioni: la fiducia dell'intero paese nel Santo dà vita al "miracolo", che in un certo qual modo cicatrizza la ferita del popolo. La leggenda di Maria Giovanna d'Aragona, tipica figura nobiliare con tutti i difetti di chi è donna e nobile, è invece sospesa fra il più fantastico folklore e la storia vera della città.
Il miracolo di S.Andrea
Questa leggenda è ambientata nel periodo più florido di Amalfi, quando le reliquie del corpo di S. Andrea erano già state traslate da Patrasso, in Grecia, alla cittadina costiera.
Si narra che in una cupa notte del Medioevo, il pirata saraceno Ariadeno Barbarossa sferrò un poderoso attacco alla città di Amalfi allo scopo di saccheggiarla e distruggerla. Le sentinelle diedero l'allarme dalle torri di avvistamento e i cittadini, presi dal panico, avevano intenzione di fuggire. Alcuni fedeli si recarono però sulla tomba dell'Apostolo per implorare e pregare insieme per il miracolo.
Quando già la sfiducia li aveva pervasi e i pirati erano arrivati, un fortissimo vento si levò, e trascinò i filibustieri al largo. A questo punto un tuono squarciò e un fulmine si abbattè in mare. Gli elementi atmosferici si accanirono sulle navi. Pioggia, vento e mare distrussero e affondarono l'armata nemica e lo stesso Ariadeno Barbarossa perse la vita. La città era salva e i popolani innalzarono canti al Signore e al Santo Protettore, perché li aveva salvati.
Queste notizie sono riportate anche in alcune cronache del tempo.
Maria Giovanna d'Aragona (fonte orale)
Una delle leggende più conosciute di Amalfi, ma che trova varie versioni, è quelle che vede come protagonista la regina Maria Giovanna d'Aragona, sorella del principe Filippo e discendente per parte di padre del re Ferdinando I.
Com'è noto Amalfi, la prima Repubblica marinara, intratteneva rapporti commerciali con l'Oriente. Le merci che venivano comprate o barattate erano trasferite sulle torri di avvistamento sparse in tutto il territorio costiero della Repubblica, che si estendeva da Vietri sul Mare a Meta di Sorrento.
Nel 1490 Giovanna d'Aragona sposò Alfonso Piccolomini, erede del duca di Amalfi. Alla morte del marito la bella Giovanna, appena ventenne, si occupò dell'educazione dei due figli Caterina e Alfonso.
Al servizio della duchessa arrivò un avvenente maggiordomo, colto e dai modi raffinati, Antonio Bologna. Le sue doti fecero breccia nel cuore della giovane vedova e per i due incominciò un'appassionata storia d'amore da cui nacquero tre figli. Il loro matrimonio venne tenuto segreto nel timore di suscitare le ire dei due potenti fratelli della duchessa: il cardinale Lodovico e il marchese Carlo.
Probabilmente fu proprio la differente condizione sociale dello sposo a rendere inaccettabile tale unione. Fatto sta che quando i due fratelli ne vennero a conoscenza Antonio fuggì, costretto a continui spostamenti per sottrarsi alla vendetta dei due fratelli che lo fecero pugnalare a Milano. Quanto a Giovanna, si sa che fu fatta prigioniera e rinchiusa con la sua fedele cameriera e i suoi figli in una torre di Amalfi dove pochi giorni dopo furono trucidati. La loro prigione secondo la tradizione locale sarebbe stata la torre dello Ziro. Si narra inoltre che la sua anima vaghi per la torre in cerca della libertà di cui fu privata dai suoi fratelli.

Cetara
In un centro come Cetara, la cui economia si basa da sempre principalmente sulla pesca, non potevano non diffondersi storie riguardanti i pescatori e le loro imprese. I lunghi periodi passati lontano da casa e la solitudine delle mogli sole creano la figura dell'angelo che fa da messaggero fra gli amanti.
L'angelo (fonte orale)
Molti pescatori cetaresi, essendo analfabeti, non davano notizie alle rispettive famiglie su come fosse andata la pesca. La leggenda narra che un giorno una vecchia di Cetara si affacciò alla finestra, implorando l'angelo di darle informazioni sul marito che si era avventurato in mare. Il giorno seguente sotto la casa della signora passò una bambina con un cesto colmo di pesci. Attraverso la bambina l'angelo diede un segno, facendo capire alla povera signora che la pesca era stata abbondante.

Conca dei Marini
Paese in cui la principale risorsa è la pesca, Conca trova fra le sue tradizioni leggende che narrano delle mogli ansiose dei pescatori. Inoltre, come in tutti i centri della Costiera, alla pesca si affiancano la fede e le storie che interpretano il volere dei Santi tramite eventi in questo caso prettamente metereologici.
Le "janare" (fonte orale)
Le "janare", spiriti con sembianze umane, apparivano di notte, ma ora non più, sugli alberi d'ulivo nelle nostre colline. A quanto pare questa non è solo una leggenda perché molte persone, tutt'oggi, sostengono di aver visto tali "esseri".
Il lato puramente umano di questa storia è che questi spiriti erano donne del paese. Conca dei Marini è infatti sempre stato un paese di marinai che restavano in navigazione per lunghi periodi di tempo. La solitudine delle donne, mista alla rigidità dei costumi del tempo, si pensa portasse alcune delle mogli di questi marinai a riunirsi, indossare lunghe camicie da notte bianche, salire sugli alberi e attendere di notte i pescatori che salivano dalla spiaggia, spaventando alcuni e attirando l'attenzione di coloro che maggiormente gradivano e che soprattutto erano a conoscenza della situazione...
Località Penne (fonte orale)
Si narra che molto tempo fa nelle due chiese principali di Conca, San Pancrazio e S. Antonio, vi fossero due preti, due fratelli. Al prete di S. Pancrazio furono donate dalla famiglia dei duchi Mele due statue raffiguranti S. Antonio e la Madonna del Carmine. Vedendo ciò, l'altro prete chiese al fratello di dargliene una. Fu scelta la statua della Madonna e per la domenica seguente fu organizzata la processione. La domenica arrivò e, come stabilito, la Madonna fu diretta in processione verso la Chiesa di S. Antonio, ma arrivata in via Punta d'Arco il tempo mutò da bello in brutto e la statua diventò così pesante da non poterla sorreggere. Decisero così di portarla indietro, visti il tempo e la maggiore vicinanza della chiesa di S. Pancrazio. L'indomani presero la statua di S. Antonio la quale, arrivata sempre in via Punta d'Arco, diventò tanto leggera da essere trasportata con facilità nell'altra chiesa. E fu così che da allora quella zona fu denominata "Penne".

Pogerola
La fede dei pogerolesi e la loro devozione per la Madonna delle Grazie si leggono tra le righe della leggenda che parla del "miracolo", ancora oggi oggetto di attenzione e per il quale tutti attendono ogni anno una "conferma" dall'Alto.
Il "miracolo del latte"
La leggenda in questione è denominata il "miracolo del latte" e prende in considerazione un evento miracoloso avvenuto nel Cinquecento e riguardante la statua lignea della Madonna delle Grazie donata da Don Giulio Cesare Bonito, nobile napoletano, all'omonima chiesa pogerolese dov'è tuttora conservata.
La particolarità di questa statua consiste nel fatto che, incastonata nel seno destro, vi è una pietruzza grigia sulla quale la tradizione orale vuole sia caduta una goccia di latte della Madonna mentre allattava Gesù.
Alle due del pomeriggio del 14 Agosto 1500 le campane della chiesa della Madonna delle Grazie cominciarono a suonare a festa. Il parroco del tempo e i pogerolesi, accorsi subito con meraviglia, notarono che la chiesa era chiusa (al campanile si accedeva solo dall'interno). Entrando notarono che dal seno della statua della Madonna sgorgava una grande quantità di latte. Subito venne chiamato l'Arcivescovo del tempo che, verificato il fatto prodigioso, fece rinchiudere la pietrina in un ampolla. Da quel giorno ogni anno viene celebrata, nello stesso giorno, una solenne funzione durante la quale la pietruzza da grigia diventa bianca.
Fonte: "Un sacco Parroco" di Giovanni Amodio

Scala
A Scala rimane ben salda la fede nei Santi protettori, dalla quale si attingono elementi che vanno a formare racconti, storie e leggende.
La campana
Molto tempo fa partirono degli uomini da Agerola e altri da Scala per giungere a S. Maria dei Monti. Era una specie di gara, in quanto chi arrivava prima in cima alla montagna e prendeva la donna morta che si trovava lì, veniva in possesso anche di una campana. Essi partirono, ma gli agerolesi risultarono più veloci e distanziarono gli scalesi. Questi ultimi, visto che entrambi i gruppi portavano delle croci che avrebbero dovuto capovolgere al momento in cui sarebbero giunti al luogo dove era la defunta, la capovolsero e cominciarono ad intonare dei riti funebri. Gli agerolesi, sentendo ciò, pensarono che gli scalesi fossero giunti sul posto e quindi tornarono a casa. Gli scalesi si nascosero e dopo che gli avversari furono discesi andarono nella casa della defunta e la portarono a Scala, insieme alla campana che attualmente si trova di fronte alle scuole elementari e che suona ogni qualvolta muore qualcuno del paese.
Il bambino d'oro (fonte orale)
Diversi anni fa un uomo chiamato Filippo "il brigante" fu arrestato e condotto in prigione. Egli era appunto un brigante e aveva lasciato la moglie e i figli a Scala. Dalla prigione egli scrisse una lettera alla moglie nella quale le diceva che in un luogo chiamato "Fontaniello" vi era una carcara. Entrando sulla destra avrebbe dovuto scavare nella parete e lì avrebbe trovato un bambino d'oro che avrebbe dovuto prendere senza dire niente a nessuno. Quando la moglie ricevette la lettera andò da un amico e gli chiese di leggergliela perchè non sapeva leggere. Egli incominciò a leggerla, ma quando arrivò alla parte riguardante il bambino d'oro cambiò tutte le parole e non le disse niente di tutto ciò. L'indomani l'amico si recò al luogo segnalato nella lettera, forò la parete e trovò il bambino d'oro, che portò via cosicchè la signora rimase con la lettera.
Attualmente se ci si reca in quel luogo si trova ancora la nicchia dove fu ritrovato il bambino.
Miti
Il travo di fuoco
Un'antica tradizione della Costa consiste nel cosiddetto "travo di fuoco". Il travo altro non è che un grosso palo di legno che, secondo questa credenza locale, scendeva magicamente a mare, percorrendo i fiumi il giorno di S. Giovanni Battista. Il palo era però acceso di un fuoco magico, capace di riscaldare le acque del mare sì da poter dare avvio alla stagione balneare.
Non era una semplice credenza del popolo: la data del 24 giugno, la festa di S. Giovanni Battista appunto, rappresentava un momento importante per tutti, anche per le attività economiche legate alla balneazione.
Ad Amalfi c'era una vera e propria gara tra i due stabilimenti storici, quello della Marina grande e quello del Porto, a chi il 24 giugno mattina avesse già apprestato tutte le strutture per permettere alla clientela di fruire del primo giorno di mare.
La tradizione è stata così radicata per decenni nella mentalità popolare, che nessuno osava fare bagni prima della data fatidica e chi lo faceva si assumeva personalmente il rischio di un brutto raffreddore.
Cercare la spiegazione di un mito tanto famoso e allo stesso tempo tanto diffuso nella Costa risulta difficile, anche se un motivo può essere intuito.
La religiosità popolare preferisce ricollegare ad eventi e personalità religiose anche fatti propri del ciclo naturale. Il 22 giugno ricorre il solstizio d'estate, data in cui il sole comincia ad abbassarsi sull'orizzonte: nella religiosità di tutti i tempi (soprattutto del Nord Europa) è nella notte che precede la solennità di S. Giovanni che avviene lo scontro tra la luce e le tenebre. In molti luoghi, anche all'estero, si accendono falò sulle colline affinché insieme alle tenebre possano andar via anche le forze del male: il fuoco stesso riveste un ruolo fondamentale nei festeggiamenti di S.Giovanni non per motivi legati al santo in sé, ma perché già in epoca pagana era il solstizio ad essere caricato di tali significati antropologici.
Sulla Costa Amalfitana il fuoco investe ciò che è considerato più vicino alla propria natura, cioè il mare. Forse (questa è un'opinione personale) il fuoco raggiunge il mare nella notte di S. Giovanni per lo stesso motivo per cui sulle colline del Nord Europa il fuoco appare in falò a disegnare figure magiche apotropaiche, e nelle pianure di molti Paesi si raccolgono le erbe su cui la rugiada si è posata in questa notte per utilizzarle contro il male.
Le trombe d'aria
Quando, soprattutto alla fine dell'estate, uno scontro di masse d'aria di temperature diverse determina uno o più vortici che attirano verso l'alto anche l'acqua del mare, allora sulla Costa d'Amalfi si dice che si è formata una tromba marina.
Questi fenomeni metereologici sono frequenti e hanno un andamento da O verso l'interno della Costa: sono molto distruttivi e quindi temutissimi dagli abitanti dei paesi costieri perché, se giungono sulla terraferma, allora anche le abitazioni sono in pericolo.
Ma la cultura popolare ha trovato il rimedio nelle capacità dei massimi rappresentanti dell'economia locale: i pescatori.
Chi si dedicava alla pesca, fino a qualche decennio fa, era considerato depositario di conoscenze magiche, forse perché doveva confrontarsi con le forze della natura senza rimanerne sopraffatto: erano i pescatori le persone in grado di "spezzare" una tromba marina appena si formava all'orizzonte.
Tutti lo sapevano e chi per primo l'avvistava correva dal pescatore che conosceva il rito liberatorio a chiedere l'intervento. Il pescatore usciva in barca, avvicinava la coda del vortice e, dopo essersi segnato per tre volte col Segno di Croce e aver pronunciato una formula di cui era a conoscenza, assolveva al compito per cui era stato chiamato. Non tutti i pescatori erano in grado di assolvere a questo compito, infatti occorrevano due caratteristiche che rendevano questi personaggi "speciali": il non essere stati battezzati e l'avere lunghi baffi rivolti all'insù.
La spiegazione di queste due particolarità è difficile da rintracciare. La mancanza di Battesimo potrebbe ricollegarsi alla necessità di essere estranei alla visione teocratica della natura, cioè appartenere ad un'altra sfera spirituale al di fuori della missione salvifica cristiana (anche se in questo caso resta da spiegare il triplice Segno di Croce); i baffi, invece, sono spiegabili se li riteniamo una sorta di antenne rivolte verso l'alto, verso cioè un altro mondo da cui provengono misteriosi poteri.
Le trombe marine venivano però spezzate anche da pescatori battezzati (e di questo esiste la certezza perché l'ultimo rappresentante di questa particolare categoria, conosciuto da tutti per queste sue capacità, è scomparso solo da pochi anni) ed esistono ancora testimoni di eventi metereologici che, dopo essersi formati all'orizzonte, improvvisamente mostravano prima un assottigliamento della parte finale e poi la rottura: nei racconti dei nostri nonni era stato un pescatore del luogo ad operare la rottura e a salvare l'intero paese da danni sicuri.
Sicuramente ci sono spiegazioni scientifiche per l'evoluzione di questi eventi naturali, ma per tutti era ed è ancora rassicurante ritenere che vi sono persone tra i propri concittadini capaci di risolvere situazioni al di fuori del normale controllo umano.

Proverbi e detti in uso nella Costa d'Amalfi

E 'nnamurat so' com' e' piatt'
Un ne' rump' e cient n'accatt.

I fidanzati sono come i piatti, poiché uno ne perdi e cento ne trovi.

Storta va, adderitt ven'.
Chi affronta le vere difficoltà, viene sempre premiato.

Mazz e panell', fann' e' figl' bell',
Figl'senza mazza, venen' e' figl'pazz'.

Per educare i propri figli, bisogna essere anche un po' severi,
altrimenti essi cresceranno maleducati e menefreghisti.

A lavà a cap' o ciucc',
se ce perd' l'acqua e o' sapon'.

Chi si mette a discutere con i testardi, perde solo il suo tempo.

Femmene, ciucc' e capre, tenen' a stessa capa'.
Donne, asini e capre hanno tutti la stessa testa.

Se marz n' gogn, ne vott' l'ogn.
Se a marzo fa freddo, cadono perfino le unghie.

Frevaro o' curt', o' pegg' e tutt'.
Febbraio mese più corto, ma mese peggiore perché fa più freddo che negli altri mesi

Chi vo' mal a chesta casa, adda' crepa' prima ca' tras'.
Chi vuole il male di questa casa, che crepi prima di entrare.

Potn' cchiù l'uocchi, che e' chiacchier'.
Sono più potenti gli occhi che le parole.

O' parent cchiù strett' è cchill' ca cchiù te fa mal'.
I parenti più stretti, sono quelli che ti recano più danno.

A' lingue tagl' cchiù ro' fierr'.
La lingua è più tagliente del ferro.

A' mis a' campanell' ngann' o' iatt'.
Hai confidato una cosa a chi la dice a tutti.

Fa buon e scuordt, fa mal e piensc
Fa bene e scordati, fa male e pensaci.

Chi sputa n'cileo, 'nfaccia le torna.
Chi la fa l'aspetti.

Megl' nu can e pres ch' na femmen atranese.
Meglio un cane da presa che una donna atranese.

Si si stuort o senza per va a Raviell e truov muglier.
Se sei storto o senza piede vai a Ravello e trovi moglie.
 
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