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L'evoluzione del sistema insediativo

Verso la territorializzazione turistica

Storicamente, il sistema insediativo e territoriale è stato caratterizzato da un alto grado di integrazione e unitarietà._1 Questo presupponeva una chiara suddivisione delle funzioni tra i centri che, lungi dall'essere autarchici, andavano a costituire un tutto organico nel quale confluivano le specificità e le necessarie specializzazioni.
Già all'epoca della Repubblica marinara, se Amalfi era sede dell'autorità ecclesiastica Atrani era sede della Corte e infatti lì, nella chiesa di S.Salvatore, avveniva la nomina della più alta carica del Ducato. La nobiltà risiedeva a Scala e a Ravello, mentre a Minori si trovava l'arsenale della flotta. A Maiori, Ravello, Campidoglio e Pogerola erano insediate le guarnigioni militari. L'intero territorio era inoltre protetto da un complesso sistema di fortificazioni: torri lungo la costa e castelli all'interno, sulle colline._2
Il tramonto della Repubblica segnò l'inizio di una lunga fase di marginalità ed isolamento. Venute meno o comunque indebolite le funzioni amministrative, politiche e militari, i centri continuarono a condividere una storia comune, costituendo un sistema idealmente unitario ma distinguendosi in virtù delle proprie specifiche strutture economiche e produttive. La fascia costiera rimase dedita al commercio e alla marineria, l'interno collinare confermò la propria fisionomia agro-pastorale: tratti comuni erano l'arboricoltura delle colline terrazzate (vigneti e limoneti) e la diffusione delle attività artigianali, pur con alcune specializzazioni (la carta e la pasta di Maiori, il cotone e la seta a Ravello).
Il dualismo già tante volte richiamato e che, mutate le forme e le connotazioni, sussiste tuttora, nasce quindi come portato e tratto caratteristico dell'articolazione storica del territorio, in logica e naturale connessione con la varietà del contesto ambientale, climatico e morfologico.
Le trasformazioni successive sono in buona parte riconducibili alla rottura dell'isolamento (nell'Ottocento fu completata la strada che collega Amalfi a Vietri) e alla contemporanea "scoperta" turistica. Se inizialmente furono soprattutto Ravello, Positano ed Amalfi ad attrarre i primi, privilegiati viaggiatori, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta il boom del turismo balneare ha finito per investire l'intera fascia costiera: Maiori prima di tutto, ma anche Vietri, Minori, Praiano, in una diffusione a macchia d'olio che sebbene in misura e con intensità diversa ha ormai raggiunto tutte le località che possono vantare un pezzetto di costa e un po' di mare.
Grazie alla crescita turistica, la Costa d'Amalfi ha potuto lasciarsi alle spalle il lungo, lunghissimo periodo di oblìo. E tuttavia, si stenta a riconoscere in questa nuova Costiera il sistema territoriale costruito e cresciuto in secoli di storia. Sono mutate le funzioni, e sono mutate le attività: sullo sfondo di tante radicali trasformazioni, ciò che è rimasto è l'antico dualismo tra la costa e l'interno.
Anche quella tradizionale e naturale differenziazione ha però mutato di senso e significato, finendo per assumere i tratti di una profonda e dolorosa frattura tra due universi che si avvertono come sempre più distanti: da un lato la piccola e congestionata striscia costiera, che è cresciuta con il turismo ma che ormai stenta a sostenerne la pressione; dall'altro il semisconosciuto interno dei boschi e delle montagne, tuttora escluso dai circuiti turistici, socialmente ed economicamente debole perché ancora alle prese con la crisi delle tradizionali attività primarie.
Le manifestazioni territoriali finora analizzate si possono facilmente ricondurre a questa nuova frattura, alla dicotomia cioè tra le zone turistiche e quelle che turistiche non sono. E tuttavia, è piuttosto evidente che il problema non consiste nel ruolo di principale fattore di diversificazione territoriale assunto dall'attrattività turistica: piuttosto, sembra che il sistema territoriale sia stato smembrato dalla mancanza di valide alternative alla funzione turistica; dall'esclusiva identificazione tra questa e la crescita economica; dall'oscuramento e annullamento delle attività, delle strutture socio-economiche, delle logiche insediative e territoriali già radicate e proprie dei luoghi; infine, dall'incapacità di conservare o instaurare legami e sinergie tra le differenti porzioni del territorio.
Il turismo sceglie, seleziona i propri luoghi, e lo fa adottando i criteri dettati dal mercato, dall'immagine promozionale, dalla domanda prevalente. Organizza e trasforma lo spazio e gli spazi: occupa quelli utili e abbandona gli altri, quelli che non servono e quelli che "non si vedono". La sua spazialità si traduce qui nella spettacolarizzazione e nella (ri)costruzione artificiale della realtà costretta ad inseguire ed imitare l'immagine più vendibile; lì in un'indifferenza che il venir meno di territorialità altre e differenti traduce in incuria e degrado. Applicando il modello al nostro caso di studio, lungo la costa la selezione ha assunto le forme dell'urbanizzazione, della saturazione e della frenetica offerta di fruizione; nell'interno ha comportato una crescita edilizia meno densa (ma solo per la maggiore disponibilità di spazio) ma più pervasiva, e l'abbandono e il conseguente degrado di ampie e preziose porzioni di territorio.
I centri costieri appaiono, se non prossimi, sempre più orientati alla monofunzionalità turistica, si tratti dei principali siti di attrazione (Amalfi, Positano, Vietri, Maiori con la sua ampia spiaggia) o dei centri "minori" trasformati in sobborghi "di supporto" votati alla ricettività (in primo luogo Minori e Praiano). Storia analoga è quella di Ravello, che pur conservando la propria fisionomia agricola e una relativa autonomia economica (Ravello assomma il buon livello di crescita proprio dei centri costieri e la relativa vitalità delle attività non turistiche che caratterizza quelli collinari) ha finito per indurre la crescita turistica della vicina Scala come comoda "base d'appoggio". Una cartografia tematica dello sviluppo turistico rivelerebbe una struttura territoriale a macchia di leopardo, con aree a forte sviluppo tra loro distanti e separate, intervallate da zone d'ombra poco o per nulla integrate nelle logiche della crescita se non fosse per la sintomatica espansione edilizia, rivelatrice di una massiccia funzione turistico-residenziale: Tramonti prima di tutti, ma in parte anche Conca dei Marini, Cetara, Furore appaiono relegati al ruolo di sfondo, quasi il loro territorio dovesse fungere da infrastruttura per consentire la fruizione della Costiera più celebre e celebrata.
Questo è il senso della territorializzazione turistica, e questi sono i rapporti che hanno preso il posto dell'antica, organica integrazione. D'altro canto, l'integrazione presuppone quella diversificazione e quella complementarietà di funzioni che oggi sono in procinto di venire meno, soffocate dal ruolo pervasivo, dalla forza omologante e dal peso sempre maggiore dell'economia turistica in tutte le sue sfaccettature, compresa quella del mercato immobiliare.
A questa visione un po' pessimistica si contrappongono le tracce delle antiche vocazioni e di più recenti specializzazioni produttive: la pesca a Cetara, l'agricoltura nei tre comuni collinari e a Furore, le manifatture a Positano (abbigliamento) e a Vietri (ceramica). La rapidità delle trasformazioni già avvenute impone tuttavia interventi rapidi e tempestivi, se non si vuole che tali "sopravvivenze" finiscano per tramutarsi in sterili testimonianze di un passato ormai trascorso.
Nella convinzione che si debba evitare ogni forma di "museificazione" e di ricostruzione più o meno artificiale di realtà che non appartengono più al nostro tempo, si vuole qui richiamare la necessità di una rivitalizzazione e di una valorizzazione sia economica che culturale delle attività già proprie del territorio e diverse dal turismo: non allo scopo di imbalsamarle, ma proprio per porre un freno e contrapporre un'alternativa alla colonizzazione turistica, sia concreta che simbolica, dello spazio fisico e ancor più culturale.
Ognuna di quelle attività, ognuna di quelle funzioni implica e presuppone logiche territoriali, valori e significati, pratiche, consuetudini e saperi che sono a tutti gli effetti parte integrante della capacità locale di abitare lo spazio, e dunque del patrimonio. Ma c'è di più, perchè esse contribuiscono a trasformare il territorio nello spazio vissuto da una comunità, anziché semplicemente in quello visto e usato da visitatori di passaggio.
La monofunzionalità turistica introdurrebbe nel sistema logiche esterne ed estranee, necessariamente ubiquitarie, e una rischiosa forma di dipendenza tanto economica quanto culturale: l'autonomia e la vitalità del sistema locale possono invece essere tutelate incoraggiando la varietà delle funzioni e delle attività, siano esse tradizionali o innovative, e la loro armonica coesistenza e integrazione con il turismo. Non si tratta di ostacolare o contrastare il fenomeno turistico: quello che si richiede è piuttosto una rielaborazione locale, un'interpretazione specifica delle modalità, delle forme e dei contenuti del turismo che sia coerente con l'identità, tanto storica quanto attuale.
Il turismo, sia come industria che come fenomeno sociale e culturale, cerca l'autenticità e le specificità ma tende paradossalmente a produrre e riprodurre ovunque la stessa cosa, in risposta alle esigenze e ai modelli culturali maturati nelle società di partenza dei flussi. Al contrario, le identità dei centri potrebbero essere rinegoziate e rafforzate in un'ottica sistemica e unitaria, creando o approfondendo delle specializzazioni in modo da radicare i diversi "turismi" nelle differenti e concrete realtà locali: questo introdurrebbe nuove ragioni non solo di compatibilità e sinergia tra la crescita del sottoinsieme turistico e le altre componenti del sistema, ma anche di differenziazione e complementarietà tra le unità territoriali.
Le logiche della territorialità turistica si possono facilmente rintracciare nei lineamenti della recente espansione urbana, soprattutto ove si confronti l'attuale topografia degli abitati con quella tradizionale, guidata ed ispirata da diverse esigenze economiche e pratiche sociali. Alla luce di quanto già rilevato a proposito dell'andamento demografico e dell'incidenza delle abitazioni non occupate, si ritiene di poter stabilire un nesso piuttosto forte tra la consistenza e la localizzazione dell'espansione edilizia e la crescita della funzione turistica. È tuttavia evidente che il turismo non può in alcun modo essere considerato l'unico fattore causale: il mutamento delle locali strutture economiche e sociali ha certamente comportato nelle comunità logiche territoriali e scelte insediative nuove e differenti, che si sviluppano e si manifestano anche a prescindere dalla crescita turistica.
Rispetto ai dati statistici, la lettura cartografica consente di localizzare l'espansione edilizia che, come si è visto, ha assunto proporzioni allarmanti. È comunque opportuno considerare che le carte topografiche non possono rilevare l'aumento della densità del tessuto edilizio: tale infittimento deriva da una crescita diffusa e pervasiva, in un proliferare di interventi ed abusi meno visibili e di manomissioni "minori" che tendono a colmare gli spazi interstiziali degli abitati e ad invadere le aree coltivate..
L'analisi verrà condotta sulla scorta della carta dell'espansione degli insediamenti elaborata e commentata nell'ambito del già citato Piano Socio-economico. La carta pone a confronto due carte topografiche dell'IGM, rispettivamente del 1956 e del 1990, entrambe alla scala 1:25000.
Il Piano fa riferimento anche ad un ulteriore confronto tra la cartografia più recente e le fotografie aeree realizzate dalla Regione Campania nel 1998: ne sono emerse variazioni lievi, e comunque non tali da modificare la forma assunta dagli insediamenti. D'altro canto, i dati del Censimento svolto nel 2001 confermano che dopo il 1991 è stato costruito appena il 2% delle abitazioni, anche se con percentuali sensibilmente più alte a Tramonti (6%), Scala e Ravello (4%) (tabella 1.03, tabella 1.03a e grafico 1.03). Si ricorda che tale rallentamento è riconducibile agli strumenti di pianificazione entrati in vigore alla fine degli anni Ottanta, e che quindi l'espansione degli anni Novanta è essenzialmente imputabile all'abusivismo.
Come rilevato nel Piano Socio-economico e a conferma di quanto detto a proposito della territorialità turistica, l'espansione edilizia ha assunto forme differenti lungo la costa e nell'interno.
I centri costieri situati agli sbocchi delle valli hanno seguito due direttrici: da un lato si sono allargati, distendendosi lungo la linea di costa; dall'altro hanno risalito le valli, occupandone i versanti. Quanto agli impatti, importa rilevare come la cementificazione della costa abbia inciso in misura considerevole sull'originaria topografia dei centri e sul paesaggio, andando a riempire gli spazi un tempo dedicati ai giardini e agli orti più o meno integrati nel tessuto urbano e cancellando terrazzamenti e aree di macchia mediterranea (l'erosione di questi spazi, con la scomparsa delle colture corrispondenti, emerge anche dal recente Censimento sull'Agricoltura). Inoltre, l'occupazione delle valli nelle quali scorrono i torrenti non fa che aumentare il rischio idrogeologico cui l'intero territorio è già di per sé pesantemente esposto.
L'espansione di Vietri ha seguito entrambe le direttrici. Ha disceso il versante occidentale del promontorio e ha seguito la costa, fino ad inglobare Marina di Vietri (nella cui planimetria, con le costruzioni allineate lungo il fronte dell'ampia spiaggia, è facile leggere le ricadute della funzione turistico-balneare) e congiungersi a Raito. Contemporaneamente ha risalito la valle del torrente Bonea (dove i moderni insediamenti industriali hanno preso il posto degli antichi opifici) protendendosi verso il centro il Molina, che a sua volta è cresciuto allungandosi in direzione sud fin quasi a toccare Vietri. Anche gli altri centri (Albori, Benincasa, Dragonea) sono cresciuti, per lo più seguendo le linee di sviluppo tracciate dalla viabilità: Albori ha quasi raggiunto Raito, Dragonea e Benincasa sono ormai unite. Anche a causa della vicinanza di Salerno, le nuove costruzioni rispecchiano per lo più tipologie edilizie proprie di un contesto urbano, che certamente introducono vistose discontinuità rispetto all'antico tessuto edilizio.
La struttura di Cetara è ancora quella originaria, con la pianta a cuneo che si infila nella valle del torrente. L'espansione edilizia è stata comunque piuttosto consistente: nella valle l'abitato è divenuto più largo, e allo sbocco del Cetus è cresciuto fino a raggiungere la costa prospiciente il molo. Anche a Cetara i nuovi condomini risaltano nel contesto nell'abitato più antico: si tratta tuttavia di inserimenti relativamente contenuti, che non a caso riguardano soprattutto la zona prospiciente il mare.
Già nel territorio di Maiori, l'espansione di Erchie è chiaramente connessa alla presenza della spiaggia e alla funzione balneare. Della ricostruzione dell'abitato di Maiori seguita all'alluvione del 1954 si è già detto parlando della crescita del patrimonio edilizio. Non è comunque superfluo ricordare che tra il 1962 e il 2001 Maiori ha registrato l'incremento più consistente del numero delle abitazioni: 123%, a fronte di una variazione che per il totale dell'area considerata non supera il 54% (tabella 1.03). Essendo avvenuta all'insegna della speculazione, la ricostruzione non ha tenuto in alcun conto né la struttura originaria del tessuto urbano né tantomeno le tipologie edilizie tradizionali. I moderni palazzi hanno sostituito e affiancato le antiche abitazioni, seguendo le due consuete direttrici: dal centro storico, sorto in posizione arretrata, sono avanzati fino all'ampio lungomare, strabordando in entrambe le direzioni per formare una cortina continua di palazzi immediatamente alle spalle della spiaggia. Verso l'interno hanno risalito la valle seguendo la strada che conduce a Tramonti, dando origine ad una serie quasi ininterrotta di centri che prosegue fino a Ponteprimario.
L'espansione edilizia ha assunto proporzioni notevoli anche a Minori (+56% tra il 1962 e il 2001). In questo caso la principale direttrice dello sviluppo è stata quella che risale la valle del torrente Sambuco, probabilmente anche a causa della presenza della strada che attraversa longitudinalmente l'abitato a poca distanza dal mare. Come risultato, il centro storico è stato risparmiato dagli interventi e dagli inserimenti più aggressivi.
Come già evidenziato, l'esiguità dello spazio disponibile ha impedito l'ampliamento di Atrani, dove la struttura del borgo antico è spezzata solo dalla strada che lo sovrasta correndo a mezza costa.
Tra il 1962 e il 2001 Amalfi ha registrato un incremento del patrimonio edilizio inferiore al dato complessivo e pari al 30%. Eppure, la struttura dell'insediamento risulta profondamente modificata. Il nucleo originario è tuttavia ben riconoscibile, adagiato con la sua tipica forma a cuneo alla foce del torrente, tra la Torre di Amalfi e l'ex Convento dei Cappuccini. L'espansione ha seguito in prima istanza la direttrice della Valle dei Mulini, proseguendo verso l'interno e creando un'appendice oltre la zona che anticamente ospitava gli opifici. Molte nuove costruzioni sono sorte anche nella zona costiera lungo la strada che conduce a Positano, nonché attorno all'ex Convento. In realtà, tutti i centri che ricadono nel territorio comunale hanno conosciuto una crescita considerevole e ben visibile: Pogerola, ma anche Vettica Minore e Tovere.
La crescita è imputabile tanto alla funzione turistica quanto al ruolo di località centrale che Amalfi svolge nell'ambito del sistema locale. Le esigenze e gli interessi dell'industria turistica hanno certamente contribuito a conservare relativamente intatta la parte più visibile dell'abitato, ossia quella prossima alla costa. Contemporaneamente però, le logiche di selezione e segregazione cui si è accennato hanno finito per determinare una certa incuria nelle aree interne, dove gli edifici sono anonimi e di qualità scadente e la stessa qualità ambientale risulta spesso compromessa.
Negli anni Cinquanta, Positano era già una località turistica celebre ed affermata. Forse non aveva ancora raggiunto la maturità, ma si può dire che avesse già superato le fasi più impetuose e turbolente della crescita. Se a questa considerazione si aggiunge il vincolo imposto dalla morfologia del rilievo, si può comprendere perché negli ultimi decenni l'espansione edilizia sia stata tra le più contenute del comprensorio (49%). In effetti, il nucleo di San Vito risultava unito a quelli di Fornillo, Corvo e Parlati già negli anni Cinquanta. La crescita della seconda metà del Novecento ha comportato un ampliamento di quest'area (specie nella fascia costiera e lungo le direttrici dettate dalla viabilità), ma si è concentrata soprattutto nella zona "nuova" di Montepertuso. Ad ogni modo, l'inserimento di nuove costruzioni non ha avuto pesanti ripercussioni sull'aspetto dell'abitato.
Nelle aree collinari e montuose, l'espansione si è tradotta nella crescita per ampliamenti successivi delle numerose frazioni e nuclei che compongono il tipico insediamento sparso. Date la maggiore disponibilità di spazio, la minore visibilità "turistica" delle aree interne e l'allentamento dei vincoli imposti dalla morfologia, il rischio è quello di espansioni graduali e particolarmente pervasive, in un processo continuo di vero e proprio inquinamento e contaminazione.
La crescita del turismo balneare e, in genere, gli interessi catalizzati dal mare hanno comportato una radicale trasformazione delle logiche insediative sia a Conca dei Marini che a Furore. I due centri, accomunati dalla prevalenza dell'insediamento sparso, sono infatti sorti a mezza costa, coerentemente con la tradizionale fisionomia agricola. L'espansione successiva agli anni Cinquanta ne ha invece provocato una sorta di scivolamento verso il mare, alla conquista della costa e dei promontori. Conca dei Marini è cresciuta in seguito all'ampliamento di ognuno dei suoi centri e nuclei. L'espansione è però particolarmente evidente nel caso di Furore, dove in quarant'anni il patrimonio abitativo è aumentato del 119% e dove gli antichi centri di Mola e San Michele sono stati affiancati e circondati da una miriade di nuove aree di espansione.
Ancora negli anni Cinquanta, Praiano conservava intatta la propria vocazione agricola. L'insediamento era concentrato nel nucleo principale e a Vettica Maggiore, ma si trattava comunque di un insediamento a maglie larghe, intercalate da vaste aree agricole. La crescita edilizia è stata ingente (+83%): i nuovi fabbricati, che poco o nulla hanno a che fare con le tipologie edilizie tradizionali, hanno determinato l'ampliamento dei due centri e degli altri nuclei, andando ad occupare molti degli spazi un tempo dedicati all'attività agricola. Altri terreni, compreso un gran numero di terrazzamenti, sono stati abbandonati, provocando un peggioramento della qualità ambientale e soprattutto paesaggistica.
A Ravello le abitazioni sono aumentate dell'80% in quarant'anni. L'antico centro delle numerose chiese e dei silenziosi monasteri, delle splendide ville e dei raffinati palazzi nobiliari era nato e cresciuto in alto, a circa 300 metri di quota: a Lacco, a Toro, a Torello, lungo lo sperone di roccia proteso verso il mare e il glorioso panorama della costa. Dopo gli anni Cinquanta, l'espansione edilizia ha provocato un enorme ampliamento dei centri: questi hanno finito per unirsi e congiungersi, andando a formare un'unica area abitata che sembra essere strabordata da un lato verso il mare (nella zona più vicina alla costa, Castiglione risulta notevolmente ingrandito), dall'altro lungo il versante interno (notevole anche la crescita di Sambuco). Proprio qui, come sempre nell'area meno "pubblica" e visibile, sono più evidenti i danni arrecati da costruzioni di qualità scadente e da altri recenti inserimenti. A dire il vero, le brutture e l'abusivismo si sono rivelati particolarmente invadenti e pervasivi anche nel centro storico: si tratta di strutture e costruzioni che oggi punteggiano il paesaggio andando ad intercalare le preziose testimonianze del passato. L'effetto che ne deriva è purtroppo quello di un contesto "inquinato" e piuttosto trascurato, dove la percezione e la comprensione del tessuto urbano sono ostacolate da continui elementi di disturbo.
Tipicamente sparso è l'insediamento di Scala, formata dai due centri di Scala e Pontone e da una piccola costellazione di frazioni (Minuto, Campidoglio, San Lorenzo, San Pietro) che punteggiano l'una dopo l'altra lo sperone che separa la valle del Dragone da quella dei Mulini. La crescita di Scala è quella propria dei centri collinari interni, caratterizzata dal progressivo ampliamento dei centri e dei nuclei che in più di un caso hanno finito per saldarsi costituendo un unico tessuto abitativo.
La singolare struttura insediativa di Tramonti è già nota. Questa galassia di centri, nuclei e case sparse ha conosciuto una crescita edilizia di poco superiore al dato complessivo, ma in ogni caso considerevole (+57%) soprattutto ove si considerino le originarie dimensioni delle frazioni, piccole o piccolissime. Nel complesso, si è trattato di una generalizzata dilatazione delle località abitate, con alcuni nuovi nuclei sorti in prossimità del confine comunale settentrionale. A Tramonti si può ben dire che la territorialità turistica abbia portato i propri effetti più nefasti: a fronte di una persistente crisi economica ed occupazionale e in assenza di una qualunque forma di valorizzazione del ricco potenziale turistico, il territorio comunale è stato trasformato in una sorta di "area di servizio" dove le nuove costruzioni - che come si è detto sono in gran parte abitazioni non occupate - hanno potuto proliferare indisturbate. Nessuna cura è stata rivolta al rispetto delle tipologie edilizie tipicamente rurali, né in genere al miglioramento o almeno al mantenimento della qualità ambientale e paesaggistica. Tramonti è la tipica area che nell'ottica turistica "non si vede" ma in fondo "serve", e dove per questo tutto è lecito e consentito.
Un ulteriore aspetto dell'espansione che la cartografia non rileva ma che vale la pena di citare riguarda la tipologia e lo stile delle costruzioni recenti, la qualità spesso scadente dei materiali impiegati e la dubbia correttezza di molti degli interventi che hanno coinvolto edifici già esistenti. A questo proposito il giudizio è pressochè unanime, ed è più che evidente come nella maggior parte dei casi (e soprattutto nelle meno note e visibili aree interne) le nuove tipologie edilizie e i materiali utilizzati introducano nel paesaggio brutture e discontinuità, che ne alterano la fisionomia anche a prescindere dalla dimensione quantitativa della crescita.
Alcune indicazioni relative alle tipologie edilizie si possono trarre dalla tabella 1.09 e dalla tabella 1.10. Il numero di interni può servire a valutare la prevalenza di abitazioni unifamiliari (che si è portati ad associare ai contesti rurali, anche se la stessa tipologia è frequente nelle seconde case: si vedano i casi di Praiano, Furore, Ravello e soprattutto Tramonti) o, ad esempio, di condomini (che non a caso appaiono numerosi a Maiori, Vietri, Amalfi e Minori). Il numero dei piani fuori terra è invece indicativo della consistenza del patrimonio edilizio più recente, soprattutto nei centri turisticamente più sviluppati o prossimi alla periferia di Salerno: gli edifici con quattro o più piani sono di nuovo concentrati ad Amalfi, Maiori e Vietri, mentre risultano pressochè assenti a Conca dei Marini e Furore.
Si ritiene comunque che, ferma restando la valutazione delle incoerenze e delle contraddizioni, l'approccio al paesaggio dovrebbe tendere al superamento di criteri puramente estetici per aprirsi alla lettura dei segni, all'interpretazione dei messaggi, all'analisi dei processi e delle forze che hanno contribuito e contribuiscono alla costruzione sociale del territorio. Bello o brutto che sia, il paesaggio si pone come espressione e testimonianza della cultura e della civiltà che lo ha creato e trasformato, talvolta coerentemente e talvolta in stridente contrasto con l'identità sedimentata nella tradizione. E poichè le culture e le civiltà mutano, manifestando nuovi valori ed istanze e aprendosi a nuove prospettive, il paesaggio non può che mutare di conseguenza. La direzione del cambiamento può non piacere, ma in questo caso è necessario interrogarsi sulle logiche che lo animano per intervenire non sui sintomi ma sulle cause, passando dalla "correzione" o "ripulitura" delle forme esteriori al governo consapevole dei processi che ne sono alla base. È chiaro, si tratta essenzialmente di un processo di crescita culturale che può avvenire solo sul lungo periodo: eppure, sembra l'unico modo efficace per tutelare ed arricchire l'inscindibile e vitale legame che lega ogni società al "suo" paesaggio.

1_All'evoluzione del sistema insediativo è dedicato il capitolo del Piano Socio-economico della Comunità Montana Costiera Amalfitana "Il sistema insediativo della Comunità Montana Penisola Amalfitana", curato dalla Prof.ssa Mariagiovanna Riitano e qui impiegato come fonte.
2_Per l'analisi approfondita dell'antico sistema di fortificazioni si rimanda alla parte della ricerca dedicata all'analisi del patrimonio, in particolare al testo riguardante "L'archeologia militare".
 
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Tabella 1.03a Abitazioni in edifici ad uso abitativo per epoca di costruzione (valori percentuali) download >>
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