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La lettura del territorio

Articolazione e fisionomia

I tredici comuni interessati dalla ricerca occupano una superficie di 9938 ha.
Secondo i dati del Censimento sull'Agricoltura svolto dall'Istat nel 2000, la superficie agraria corrisponde al 53% del totale, poco più di 5301 ha.(1) Di questi, 1300 ha corrispondono alla SAU (Superficie agricola utilizzata) e sono per l'80% destinati a coltivazioni legnose agrarie. La superficie agraria non utilizzata si estende su poco più di 330 ha mentre i boschi ne ricoprono ben 3605 (pari al 68% della superficie agraria). La macchia mediterranea riveste 467 ha, ed è presente soprattutto a Maiori (106,74 ha) e Positano (269,85 ha). Altro dato degno di nota è quello relativo all'estensione degli orti familiari, che con poco più di 35 ha oggi occupano appena lo 0,66% della superficie agraria.
Si è scelto di iniziare dai dati del Censimento perché essi forniscono indicazioni preziose a proposito degli usi del suolo, e perché da queste è possibile ricavare una prima, parziale immagine del nostro territorio. Importa innanzitutto sottolineare come la superficie agraria rappresenti più della metà (una quota decisamente significativa) dell'area oggetto di indagine. Più precisamente, il territorio appare così articolato: 14% di SAU, appena il 3,5% di superficie agraria non utilizzata, addirittura il 38% di boschi. La macchia mediterranea ricopre il 5% del territorio.
In secondo luogo, dalla distribuzione della superficie agraria e della SAU emergono importanti fattori di differenziazione tra la fascia costiera e quella interna: infatti, se tre quarti (75%) della superficie agraria risultano concentrati nei comuni di Tramonti, Scala, Maiori e Positano, ancor più interessante è il fatto che Tramonti, Scala, Ravello e Positano riuniscano il 63% della superficie agricola utilizzata. Gli stessi cinque comuni presentano inoltre le più ampie superfici boschive.
Infine, è evidente come la diffusione delle coltivazioni legnose agrarie (cui corrisponde la scarsità dei seminativi, dei prati e dei pascoli) definisca uno dei fattori caratterizzanti del paesaggio. Non si intende qui fare riferimento solo al paesaggio "classico" delle colline terrazzate: ai limoneti di Maiori, Minori, Amalfi e Ravello si affiancano infatti non solo gli ulivi di Maiori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti e Vietri e le viti di Tramonti (e, in misura minore, di Ravello, Scala e Vietri), ma anche i castagni dei comuni collinari di Scala, Ravello e Tramonti.
L'immagine che emerge da queste osservazioni si discosta non poco dai più diffusi stereotipi: complici l'orografia e la varietà dei microclimi, la Costa d'Amalfi è prima di tutto terra di montagne e di boschi. È una terra ancora in gran parte agricola, della quale proprio il bosco rappresenta il paesaggio - anche agrario - più esteso.
In quest'ottica, la lettura delle carte topografiche è illuminante. All'estremità occidentale, le lingue verdi dei boschi valicano il confine provinciale spingendosi nel territorio di Positano. Ritornano, a piccole chiazze, nel comune di Praiano e quasi scompaiono a Furore, dove si limitano a disegnare l'ideale prosecuzione del Fiordo. Non raggiungono Conca dei Marini, piccola virgola stretta tra il mare e il territorio di Amalfi, ma subito dopo riprendono vigore. All'altezza di Amalfi, dove il confine provinciale indietreggia verso l'interno, i boschi giungono quasi a lambire il mare, inseguendo l'isoipsa dei 300 metri. Oltre l'abitato la gola scavata dal Dragone li spinge nell'ampio entroterra sulle montagne di Scala, di Ravello, di Tramonti. Superata Minori il verde si avvicina di nuovo alla costa, quasi riempiendo lo spazio tra il torrente Sambuco e il Regina Maior e proseguendo oltre Maiori, sempre lungo la linea dei 300 metri. Nel territorio di Cetara il bosco lascia posto alla macchia ma ritorna, anche fitto, a Vietri sul Mare, dove ancora occupa gli spazi lasciati vuoti dal tessuto urbano e dalle infrastrutture viarie.
Dove il bosco finisce per lasciare spazio alle colture più tipicamente mediterranee, in un procedere verso il mare che è insieme orizzontale e verticale, un avanzare e un precipitare, la Costa d'Amalfi assume il suo volto più classico di collina caparbiamente coltivata, disegnata di terrazze e muri a secco, costruita e modellata metro dopo metro da secoli di lavoro testardo, attento e meticoloso. Lungo i pendii che affacciano verso il mare e sui versanti delle gole incise dai torrenti lo spazio diminuisce, come sul punto di venire meno. La morfologia del terreno, le forme impresse dalle pratiche agricole, la densità degli uomini e quella dei centri abitati: tutto, qui, appare come concentrato, più denso e più fitto.
La terza Costa d'Amalfi, quella stretta tra i versanti e il mare, appare al tempo stesso urbana e marinara. È una striscetta di terra che si snoda lungo il profilo della costa, punteggiata qua e là dalle forme ricorrenti di abitati non più sparsi, ma esasperatamente accentrati.
Della topografia dei centri urbani sia costieri che collinari si dirà nell'analisi del patrimonio: per il momento, preme sottolineare la straordinaria leggibilità del territorio. È un territorio dove, come si è visto, la presenza umana si fa via via più visibile man mano che si procede verso la fascia costiera. Ed è un territorio dove ogni centro conserva una propria individualità, anche cartografica.
Le frazioni di Tramonti appaiono comodamente sparpagliate nella valletta sprofondata tra le montagne; quelle di Scala si snodano lungo il crinale dello sperone roccioso, e lo stesso fa Ravello. Amalfi, Atrani, Cetara, Minori e la stessa Maiori - nonostante l'insolito sbocco sul lungomare - conservano la pianta (un po' a cuneo, un po' lineare) degli antichi centri sorti sulle conoidi di deiezione dei torrenti, all'uscita delle gole, in bilico tra mare e terra: borghi dalla fronte marinara e dal retro manifatturiero, che pur guardando al mare hanno risalito i corsi d'acqua allungandosi verso l'interno con i loro opifici. Borghi che, nella consueta compresenza delle dimensioni orizzontale e verticale, hanno risalito colline e versanti, di terrazza in terrazza: ad eccezione della piccolissima Atrani, tutti sono ancora circondati e sovrastati dalla campagna agricola. Positano se ne sta ancora raccolta nella sua insenatura, racchiusa dall'anfiteatro formato dalle montagne. I quadratini neri delle case di Praiano, Furore e Conca dei Marini sono sparsi in apparente disordine, alti sul livello del mare, rivelando la crescita per aggregazioni successive e una marcata fisionomia agricola. Vietri, nata allo sbocco del torrente Bonea, è il centro che più di ogni altro ha risentito della recente espansione: la struttura orginaria dell'abitato risulta oggi difficilmente leggibile.
Naturalmente, l'espansione edilizia degli ultimi decenni ha slabbrato e sfumato l'antica articolazione del territorio: nuove costruzioni hanno risalito le valli seguendo le direttrici della rete viaria e, dove la morfologia l'ha consentito, hanno occupato la costa. E tuttavia, le trasformazioni più profonde non hanno riguardato la struttura visibile del territorio: piuttosto, ne hanno intaccato l'integrazione stravolgendone le logiche abitative e funzionali. Come si vedrà in seguito, sullo sfondo del declino delle attività tradizionali l'espansione edilizia, la progressiva urbanizzazione e la territorialità turistica hanno occupato e selezionato, trasformato e colonizzato, attribuendo funzioni inedite e nuovi valori e significati ai luoghi, al territorio, allo spazio più o meno vissuto. Il risultato è un'omologazione, una banalizzazione del territorio che sempre più appare un contesto omogeneo (per funzioni, articolazione, fisionomia) dal quale le identità e le specifiche vocazioni dei centri stentano ad emergere. Soprattutto, il venir meno della complessità semantica e strutturale finisce per mettere in dubbio la possibilità di una complementarietà e di un'organica integrazione tra le numerose e diverse componenti del sistema territoriale.
Dell'ambiente fisico e del paesaggio agrario (meglio: dei paesaggi agrari) della Costa d'Amalfi si è già detto nella Presentazione e ancora si dirà nella parte della ricerca dedicata all'analisi del patrimonio. A questo punto e nella logica del progetto sembra comunque importante sottolineare come entrambi abbiano già subito e continuino a subire danni e compromissioni: il taglio dei boschi, gli incendi, l'abbandono dell'agricoltura con il conseguente venir meno della manutenzione dei terrazzamenti (e del bosco) e la scomparsa di tanti percorsi e sentieri implicano non solo, o non tanto, uno scadimento della qualità estetica del paesaggio, quanto un concreto e molto più pericoloso peggioramento della qualità e della sicurezza ambientale. Basti pensare al rischio del dissesto idrogeologico, cui come si è detto tutta l'area è da sempre particolarmente esposta.
Ma c'è di più, perché se il mutamento delle forme visibili del paesaggio rientra in un processo non solo inevitabile, ma logico e naturale, non ci si può esimere dal valutarne i contenuti e ancor più la coerenza. Il degrado dell'ambiente fisico rappresenta un sintomo e una conseguenza del degrado dell'ambiente immateriale, ossia dei valori fondanti e condivisi delle comunità, quegli stessi valori che sono sedimentati e che dovrebbero ritrovarsi nel patrimonio culturale locale. La lettura del territorio ha pertanto lo scopo di evidenziare ed analizzare fenomeni le cui origini emergeranno in seguito, con l'analisi della componente socio-culturale e dei fattori immateriali che si trovano alla base della costruzione e della connotazione del paesaggio, dell'organizzazione del territorio e dello spazio vissuto tout court.

1_Per l'analisi dettagliata dei dati del Censimento si rimanda al sottoparagrafo "La struttura produttiva", a cui sono allegate le tabelle e i grafici relativi.
 
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