All'inizio degli anni ottanta l'Europa unita, malgrado ricorrenti solenni dichiarazioni, era soltanto il sogno di pochi idealisti.
Già da allora però, andava diffondendosi la convinzione della necessità di una formazione europeistica della nuova classe dirigente: in particolare si riteneva che ai giovani dovessero proporsi le dimensioni e le prospettive di un'Europa che non fosse solo un compendio di storie, magari gloriose ma particolari, e neppure un insieme di Stati, ognuno autonomo ed emulo degli altri, ma una Patria comune.
A fondamento di essa si ergeva l'immenso patrimonio di cultura e di storia, prodotto insieme nei millenni. Appunto la cultura comune sembrava poter dare un contenuto all'utopia.
L'Università fu quindi giustamente individuata come strumento insostituibile di preparazione e di sostegno dell'Unione Europea. L'Università Europea era da pensare daccapo, e comunque da organizzare non ad imitazione di quelle nazionali e meno ancora come sovrapposizione ad esse, ma piuttosto come complementare e come scuola di perfezionamento.
Il Centro Universitario Europeo per i Beni culturali nacque appunto come sperimentatore e pioniere di quella che dovrebbe essere l'Università europea per i beni culturali.