Tavola rotonda Politiche di presa in carico del rischio sismico e vulnerabilità dell’edificato antico
Ravello, 9 Ottobre 1999
Che nelle zone esposte a rischi naturali ricorrenti si siano sviluppate tecniche costruttive specifiche e che nel tempo si sia radicata una "cultura locale del rischio" è constatazione tanto banale quanto largamente documentata. Ad esempio, è ben noto che nelle regioni sismiche i centri storici sono spesso localizzati nei siti più sicuri della zona, nei monumenti si ritrovano sempre accorgimenti aventi particolare efficacia antisismica.
La ricerca che il Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali sta svolgendo dal 1987 (vedi p. 6) ha mostrato che le tecnologie antisismiche antiche sono presenti non solo nei monumenti. Anzi, l'analisi degli elementi decorativi o costruttivi che caratterizzano l'architettura vernacola di varie regioni sismiche ha messo in evidenza che le tecniche costruttive "sismoresistenti" sono presenti - e straordinariamente simili - nei cinque continenti, e che spesso sono ancora quelle di migliaia di anni fa.
Del resto, se oggi abbiamo il problema della protezione dei centri storici in zona sismica è solo perché gli edifici che li costituiscono hanno resistito a tutti i terremoti intervenuti nel corso dei secoli. Ma la vulnerabilità dell'edificato non dipende solo dalle tecnologie. La manutenzione continua, le trasformazioni sempre compatibili con i caratteri strutturali degli edifici sono aspetti del comportamento della comunità che, in uno con le conoscenze tecniche, hanno costituito quella che è stata definita la "cultura sismica locale", quella che ha permesso prima di costruire poi di conservare l'edificato antico in zona sismica.
D'altra parte i comportamenti che ieri erano dettati dalla "cultura sismica" della comunità oggi sono fortemente condizionati dalle politiche di presa in carico del rischio sismico. E' del tutto inutile predicare che solo la prevenzione può ridurre l'impatto dei terremoti, se poi manca un programma organico di supporto tecnico-finanziario al rafforzamento preventivo degli edifici. Oltretutto, se il rafforzamento va fatto a spese dei privati mentre l'onere della ricostruzione viene totalmente assunto dallo stato, il sistema avrà più convenienza ad attendere il sisma che a prevenirne le conseguenze.
Insomma, nelle comunità che hanno prima costruito e poi hanno usato coerentemente l'edificato antico dei centri storici, le "politiche" di presa in carico del rischio sismico erano fondate su risorse correnti e sul principio che i privati si facevano carico sia della prevenzione (la manutenzione permanente) che della ricostruzione, talvolta sopportando anche parte della spesa per la ricostruzione degli edifici pubblici. Oggi, viceversa, la politica (italiana) si fonda quasi esclusivamente su risorse straordinarie (sempre ex-post) e si fa carico sia degli edifici pubblici e delle infrastrutture che delle case private (anche di quelle già riparate, magari male, con i soldi del precedente terremoto).
In verità tale criterio comincia ad essere messo in discussione, com'è provato dal dibattito sull'introduzione dell'assicurazione contro i disastri naturali e dalle normative tecnico-procedurali previste per la ricostruzione in Umbria e nelle Marche. Tuttavia, non è pensabile che un processo di rafforzamento preventivo dell'edificato antico possa avviarsi - e, soprattutto, sia efficace - se il sistema creditizio ed assicurativo non viene coinvolto non solo nell'erogazione delle risorse e nella copertura del rischio, ma anche nel controllo dell'effettiva riduzione della vulnerabilità degli edifici. Tuttavia, se permane l'errato convincimento che le tecnologie tradizionali siano inidonee - come se in passato nessun costruttore si sia posto il problema sismico - c'è il rischio che si generalizzino "rafforzamenti" con tecnologie moderne che, sovrapposte alle strutture murarie antiche, ne alterano irrimediabilmente la risposta allo shock sismico e che, in definitiva, ne aumentano la vulnerabilità (come ha mostrato il recente terremoto dell'Umbria).
Queste le premesse su cui si è basata la discussione svolta all’interno della tavola rotonda su “Politiche di presa in carico del rischio sismico e vulnerabilità dell’edificato antico”, organizzata dal Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali, il giorno 9 ottobre 1999, inquadrata nel Programma del Consiglio d'Europa "EUR-OPA Risques Majeurs", nell'ambito del 9° Corso Intensivo (internazionale) sulla "Riduzione della vulnerabilità dell'edificato antico attraverso il recupero della Cultura Sismica Locale" (vedi p. 12).
I relatori invitati alla tavola rotonda (F. FERRIGNI, Direttore dei Programmi del Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali; O. CARDONA, Università de Los Andes, Presidente Asociacion Colombiana de Ingegneria Sismica-Colombia; A. PANARO, Ufficio Studi e Progetti, Banco di Napoli; R. DE MARCO, Servizio Sismico Nazionale, Dipartimento Protezione Civile-Italia; E. GUIDOBONI, SGA Bologna; F. GUASCH hechavarria, National Center of Seismological Research-Cuba; G. LUNGHINI, Dipartimento di Economia Politica, Università di Pavia-Italia) hanno convenuto che una efficace politica di prevenzione del rischio sismico dovrebbe essere fondata da una parte su norme tecniche che favoriscano interventi di rafforzamento dell'edificato antico non monumentale, coerenti con le tecnologie preesistenti e che definiscano i criteri di riduzione della vulnerabilità degli elementi non strutturali, dall'altra su leggi di spesa corrente, che prevedano il coinvolgimento del sistema creditizio in programmi di rafforzamento preventivo degli edifici, la ripartizione del rischio tra i proprietari, le imprese assicurative e lo stato. Una tale politica potrebbe sperimentare un diverso modello di sviluppo, che fa della manutenzione del territorio storico un'occasione sia per soddisfare bisogni che sono in crescita - ma che il libero mercato non può soddisfare, perché non sono solvibili - sia per orientare parte della spesa pubblica verso interventi ad alta intensità di lavoro (e che quindi contrastano la fisiologica riduzione dell'occupazione) sia, infine, per recuperare mestieri e tecnologie in via di estinzione (in modo da rendere duraturi gli effetti degli interventi).